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La scultura napoletana del Cinquecento

Roma, Donzelli, 1992, Saggi. Arti e lettere
cm 21.5x15.5, pp. XII-285-(1), 219 illustrazioni in b|n, foglietto con l'errata corrige, cartonato, sovracoperta illustrata, custodia
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Indice

Premessa    p. VII

I. La colonia lombarda    5


    1. Dall'altare Miroballo al «Succorpo» di San Gennaro    5
    2. Il «Succorpo» di San Gennaro e l'attività tarda di Tommaso Malvito    49

II. Fiorentini e spagnoli a Napoli    67


    1. Napoli tra lombardi e spagnoli    69
    2. Bartolomé Ordóñez, Diego de Siloe e il «vasto raggio» della loro bottega    103
    3. Dalla bottega di Ordóñez: Girolamo Santacroce    149

III. Giovanni da Nola: l'egemonia di una bottega    181


    1. La fortuna critica    183
    2. Il percorso artistico    233


Bibliografia    259
Indice delle illustrazioni    271
Indice del nomi    279
Un grande tesoro in larga parte inesplorato, le tracce di una fervida stagione culturale che raccorda alcune tra le più potenti e significative direttrici artistiche europee.

Una produzione scultorea dotata anche di una peculiare «organizzazione del lavoro», dominata da botteghe strutturate come vaste imprese collettive e legate da rapporti di filiazione diretta: dalla bottega «lombarda» di Pietro da Milano nascerà infatti quella di Tommaso Malvito, dominatrice assoluta degli anni a cavallo tra i due secoli; e da questa la bottega del genius loci della scultura napoletana del Cinquecento, Giovanni da Nola. Un dominio che verrà spezzato solo dal breve ma decisivo interludio di due grandi maestri spagnoli, Ordóñez e de Siloe.
Il libro indaga inoltre i profondi legami che univano la produzione artistica napoletana all'intenso dibattito religioso di quei decenni, ricostruendo i valori sociali di una committenza aristocratica che soprattutto nel sepolcro e nella scultura funeraria celebrava e ricordava ai vivi la propria potenza. Gia Jacob Burckhardt aveva parlato, significativamente, del «ricco tesoro» rappresentato dai monumenti funerari napoletani: «una schiera marmorea di guerrieri e funzionari, come forse solo a Venezia ne esiste un'altra simile». Una «galleria» del ceti dirigenti napoletani in grado di restituire con estrema vivezza idee e simboli, valori artistici e religiosi, stratificazioni gerarchiche e aspirazioni civili.

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